::: PSICOLOGIA DELL'ARBITRO :::

L'ARBITRO ED IL CONTESTO IN CUI OPERA:

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Esistono alcuni aspetti abbastanza costanti, tipici della situazione in cui opera l'arbitro, che possono costituire una fonte di problemi. Innanzi tutto, anche quando collabora con gli altri ufficiali di gara, l'arbitro si trova ad essere "solo" nel suo compito e pur svolgendo un ruolo riconosciuto da tutti e richiesto, raramente ottiene espressioni di approvazione sincera e sostegno emotivo da parte dei giocatori e del pubblico. Spesso invece diventa il bersaglio dell'ostilità degli altri. Ciò nasce dal fatto che sia gli atleti che i tifosi lo vivono come un ostacolo al raggiungimento dell'obiettivo della vittoria. Il bisogno del successo porta l'atleta - ed anche il tifoso - a dimenticarsi che il risultato calcistico non può prescindere dal rispetto delle regole del gioco. L'arbitro come ruolo è un capo e come tale viene vissuto dagli atleti e dagli spettatori. La sua autorità si fonda su un'attribuzione che risponde ad esigenze organizzative e su una delega riconosciutagli dagli organi federali senza un preciso consenso da parte degli atleti.
L'arbitro, quindi, non lo scelgono i giocatori ne tanto meno i tifosi... è imposto.
Nessuno dei protagonisti di una partita ha razionalmente interesse a mettersi in contrapposizione aggressiva nei confronti dell'arbitro. Anche perché è normale che questi non sarà ben disposto verso chi ha questo atteggiamento nei suoi riguardi.

Ma nello sport la razionalità spesso è un optional: l'emotività è la vera protagonista ed è proprio quella che molte volte porta un soggetto a fare l'esatto contrario di ciò che gli converrebbe.

Durante la partita, inoltre, l'arbitro si trova in una situazione che lo pone a dura prova. Infatti è opinione largamente diffusa nell'ambito sportivo, e condivisa dagli stessi interessati, che un bravo direttore di gara deve passare inosservato. Egli perciò nel migliore dei casi riceve qualche approvazione "interessata" e nessuna critica, mentre nella maggior parte dei casi riceve una quantità più o meno grande di "attacchi".

Un altro aspetto molto particolare della situazione dell'arbitro è legato al suo ruolo di giudice che nello stesso tempo viene giudicato dagli altri. Egli deve continuamente prendere delle decisioni, spesso sotto la pressione del pubblico o di altri che tendono ad influenzarlo e il suo operato viene sistematicamente giudicato da persone che in molti casi non hanno una sufficiente competenza, perché non conoscono abbastanza le regole, il gioco o la tecnica arbitrale.

Per questi motivi è comprensibile come l'arbitro si trovi in condizioni che possono portare all'insorgere di problemi interpersonali.

L' ARBITRO E GLI ALTRI:

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Il comportamento nei confronti dell'arbitro dei dirigenti sportivi, del pubblico, degli atleti e degli allenatori, molto spesso è caratterizzato da contestazioni, proteste, disapprovazioni e non di rado diventa maleducato o ingiurioso.
Soprattutto il pubblico e i dirigenti molto volte non conoscono a fondo i regolamenti e nel guardare la partita non fanno attenzione a quei particolari del gioco che possono essere rilevati solo con una grande esperienza e con un'osservazione basata sulla tecnica di arbitraggio. E' possibile allora che essi reagiscano negativamente alle decisioni arbitrali che non comprendono.

I calciatori nei momenti cruciali del gioco, data la carica agonistica e il grande coinvolgimento emotivo, a volte hanno delle reazioni impulsive di rabbia, che possono essere rivolte verso gli avversari o l'arbitro, come pure verso i propri compagni e verso se stessi. L'arbitro può attribuire a questi fatti un significato più grave di quello reale, se non li valuta attentamente, collocandoli all'interno della situazione in cui si sono verificati.

Anche nell'ambito della terna arbitrale possono insorgere dei problemi quando il direttore di gara ed i suoi assistenti si conoscono poco o mancano la fiducia e la stima reciproca. Questo può portare a comportamenti non collaborativi e contraddittori che vanno a scapito della prestazione e dell'immagine che la "terna" offre all'esterno.

Il comportamento degli "altri" e quello dell'arbitro sono in relazione reciproca ed è importante che egli si renda conto di come può stimolare determinate reazioni negli altri e viceversa di come lui reagisce agli stimoli dal comportamento degli altri. In certi casi possono instaurarsi dai circoli viziosi controproducenti. Ad esempio, poiché spesso il pubblico e a volte i dirigenti, gli allenatori e i giocatori si presentano come oppositori dell'arbitro, se egli accetta di entrare in conflitto con loro può indurre un'escalation della tensione dannosa per la gara. Infatti, possono aumentare il livello di aggressività del pubblico, il nervosismo degli atleti, le proteste degli allenatori e dei dirigenti. L'arbitro può perdere la concentrazione e l'obiettività nel valutare, e quindi commettere errori che accrescono ulteriormente la tensione della gara.

ARBITRAGGIO E PROBLEMI INTERPERSONALI:

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I problemi interpersonali ovviamente dipenderanno dal particolare modo in cui ogni arbitro vive queste situazioni e di conseguenza agisce e reagisce nei confronti degli altri.
Due tipici atteggiamenti controproducenti che l'arbitro rischia di assumere per far fronte allo stress del suo compito possono essere così esemplificati:

 

  1. comportamento caratterizzato da controllo esasperato nei confronti dei calciatori e della situazione in generale, rigidità e chiusura nella comunicazione: in questo caso l'arbitro si sente l'unico difensore del regolamento e percepisce gli altri come trasgressori e/o incompetenti; può sentire rabbia verso il pubblico, i dirigenti, gli allenatori o gli atleti e porsi in atteggiamenti punitivi ingiustificati nei loro confronti; mostra un'eccessiva ed indiscriminata stima di sé e tiene gli altri in scarsa considerazione; abusa del suo potere; non si rende conto che la sua condotta può suscitare negli altri giustificate reazioni negative.

  2. atteggiamento dell'arbitro che si sente insicuro rispetto al proprio operato e cerca l'approvazione degli altri: ritiene che lo giudichino male e può farsi influenzare nelle sue decisioni da pressioni esterne o dalle aspettative degli altri; tende a sentirsi responsabile anche di ciò che non dipende da lui ed è esposto all'ansia e alle preoccupazioni; dopo aver commesso un errore danneggiando involontariamente una squadra è propenso a "compensare" aggiungendo così un'altra decisione scorretta; sotto-stima le sue capacità, dà troppa importanza agli altri e non si prende in modo diretto tutto il potere che gli compete.

Al di là delle diversità che li caratterizzano, i due atteggiamenti sopra esposti presentano una serie di aspetti comuni: in entrambi i casi l'arbitro non sente una genuina soddisfazione nello svolgimento del suo compito, ma piuttosto prova sentimenti spiacevoli come rabbia, solitudine, insicurezza e colpa; ambedue i comportamenti si basano su presupposti generalizzati e distorti che il direttore di gara ha "costruito" a proposito degli altri e sulla convinzione illogica di sapere cosa pensino; entrambi i casi denotano un problema di auto-stima e rappresentano due modi di affrontarlo diversi, poco risolutivi: infatti, nel primo atteggiamento l'arbitro si pone in modo competitivo nei confronti degli altri e li svaluta per poter considerare positivamente sé stesso mentre nel secondo si preoccupa di comportarsi in modo tale da essere accettato legando la stima di sé alle valutazioni che gli altri fanno di lui.
I tipi di comportamento proposti sebbene siano irrazionali ed inadatti per la funzione che deve svolgere un arbitro, si presentano ripetutamente creando dei circoli viziosi per cui da un problema ne nasce un altro. Inoltre, anche se sono apparentemente opposti possono ritrovarsi, in momenti diversi, nella stessa persona, presentandosi, in vario grado, e in maniera episodica come pure stabile.

Le conseguenze negative dovute alle difficoltà ed ai problemi interpersonali incontrati dall'arbitro si possono riflettere sull'arbitro stesso (che sentendosi scontento, insoddisfatto e risentito fa calare la sua motivazione ad impegnarsi seriamente), sulla qualità della sua prestazione, sulle altre persone che partecipano in vario modo all'evento sportivo.

Per prevenire o per affrontare positivamente i problemi interpersonali, innanzi tutto, l'arbitro deve partire dal presupposto che, se vuole, può cambiare qualcosa di se stesso in una direzione che desidera, ma non può cambiare il comportamento o il modo di pensare degli altri, a meno che non siano questi a voler cambiare. Pertanto, nei confronti degli altri egli può solamente disporsi nel modo positivo, corretto e costruttivo. E' bene, inoltre, per l'arbitro non dare agli altri il potere di determinare le sue emozioni e il suo comportamento, bensì assumere completamente la propria responsabilità senza preoccuparsi di quello che costoro pensano di lui.

E' importante che l'arbitro sviluppi una genuina fiducia in sé che gli permetta di sentirsi autonomo e sicuro nelle decisioni che prende ed al tempo stesso gli conceda di accettare serenamente la possibilità di commettere qualche errore in quanto è normale.
A questo proposito, è fondamentale che l'arbitro abbia una buona (ma realistica) stima delle proprie competenze, che potrà sviluppare impegnandosi nella sua preparazione e aprendosi al dialogo e al confronto con i colleghi ed i propri dirigenti. Per poter ottenere tutto ciò l'arbitro deve distruggere due miti: che si possa essere perfetti e che non ci sia nulla da fare per poter migliorare.

Come si è già accennato, dirigere una partita di calcio può essere per l'Arbitro una situazione particolarmente gratificante ma nel contempo può essere anche estremamente stressante.

L'abilità dell'Arbitro sta nell'affrontare tutte le situazioni che si presentano durante lo svolgimento di un incontro con la sicurezza necessaria a continuare ad arbitrare con convinzione il resto della gara.

COMPORTAMENTO E COMUNICAZIONE:

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Un elemento di notevole importanza nel favorire tale risultato riguarda la comunicazione tra l'Arbitro, i giocatori, gli allenatori e i dirigenti. La domanda a cui rispondere è la seguente: in che modo essere autorevoli e ricevere il consenso delle parti in causa in relazione alle decisioni prese senza essere compiacenti?
Per l'Arbitro è necessario rendersi conto che le sue decisioni non solo devono essere corrette ma, per quanto sia possibile, devono essere accettate. Pertanto diventa rilevante che il tipo di comunicazione da egli adottata sia efficace.
Sulla base di queste considerazioni, si intuisce che il miglioramento della capacità di comunicare sul campo con efficacia rappresenta per l'Arbitro un modo positivo per trasmettere con determinazione le proprie decisioni, senza dimenticare che ogni nostra azione trasmette un messaggio e gli altri ci valutano non solo in funzione delle competenze che mostriamo ma anche per come ci comportiamo, per come ci poniamo in relazione con loro, per quanto li comprendiamo anche quando siamo in disaccordo.

La competizione determina nei giocatori una condizione fisico-mentale caratterizzata da un elevato livello di attivazione fisica e da un'intensa condizione emotiva. Lo stesso vale per l'allenatore, che per guidare dalla panchina la squadra dev' essere molto più attivato rispetto a quanto lo sia durante gli allenamenti. Questi stati d'animo, uniti al desiderio di vincere, possono influenzare il modo in cui reagiranno alle decisioni dell'Arbitro e soprattutto a quelle che sanzionano l'azione della propria squadra. L'Arbitro si trova così nella condizione di dover mantenere la calma, quando coloro che ha intorno manifestano la loro insoddisfazione nei riguardi delle sue scelte. La sua capacità di "restare freddo" comunica ai contendenti un senso di controllo, di maturità e di abilità nel fronteggiare le situazioni complesse. Inoltre, restare calmi è necessario per mantenere inalterata l'efficacia della propria capacità decisionale. Per l'Arbitro un livello troppo elevato di tensione può determinare sia decisioni troppo impulsive e non ragionate, sia reazioni di rabbia esagerate nei confronti dei giocatori.

Pertanto, il direttore di gara anziché rispondere con un innalzamento del proprio stato emotivo, deve agire in modo tale da prevenire queste situazioni spiacevoli mantenendo la calma e trattando gli altri con rispetto.

Difatti, il rispetto nei riguardi dell'Arbitro è incrementato quando lui stesso comunica analoghi sentimenti agli altri. Il direttore di gara è arbitro delle situazioni di gioco, non per soddisfare esigenze di potere personale ma per regolamentare lo svolgimento della partita. In tal senso chiede rispetto per le proprie scelte, proprio perché mostra rispetto, conoscenza del gioco e comprensione delle esigenze delle squadre. Per regolamento l'ultima parola spetta all'Arbitro, non è quindi necessario rinforzare questa posizione già così ben definita a suo favore.
Pertanto l'Arbitro non ha necessità di mostrarsi rigido ed autoritario, deve invece imparare a regolare le proprie reazioni emotive, comportandosi in modo educato e deciso nei confronti dei calciatori che protestano per le sue decisioni. Infatti mentre i giocatori possono vendicarsi di un fallo subito commettendone un altro sul giocatore che li ha colpiti (anche se è sbagliato), l'Arbitro non deve mai cadere nel tranello di rivalersi sui giocatori.  Egli non ha nulla da "far pagare" loro e non deve interrompere il gioco solo per dimostrare che è lui il più forte.

Di notevole importanza è, inoltre, mostrare un atteggiamento positivo verso i giocatori, anche se a chi per funzione deve sanzionare ogni comportamento contrario al Regolamento può sembrare, a prima vista, paradossale se non inutile. Al contrario, la tranquillità interiore del direttore di gara così come la fiducia in sé vengono rinforzate anche dal mostrare un comportamento non-verbale positivo. L'Arbitro che riesce a manifestare in maniera chiara di capire la tensione dei giocatori pur punendo le infrazioni del Regolamento vedrà ridurre il nervosismo in campo e farà sì che i giocatori si sentano capiti pur se continuerà a sanzionare con determinazione il gioco scorretto.

I partecipanti ad una gara apprezzano gli arbitri che sono in grado di spiegare le loro decisioni. Ciò non evidenzia solo un certo grado di interesse verso gli altri ma per l'arbitro è anche un modo per dimostrare che controlla la situazione. Infatti, gli arbitri che agiscono in tal modo si mostrano sicuri delle proprie scelte e non hanno problemi nel comunicarle.
Ovviamente, il direttore di gara deve essere capace di esprimere in pochi secondi la sua decisione: già troppo spesso ci pensano i giocatori ad interrompere o a non riprendere il gioco con la necessaria sollecitudine. Perciò l'arbitro deve "essere allenato" a fornire spiegazioni composte da frasi brevi. Va infine ricordato che l'arbitro ha il diritto di scegliere di fornire o non fornire le ragioni delle sue decisioni: sarà lui stesso a regolare la frequenza delle sue comunicazioni ed è nel pieno diritto di non dare indicazioni ogni qualvolta lo riterrà opportuno.

Talvolta all'arbitro può venire la tentazione di voler recitare come se fosse a teatro o di voler essere al centro dell'attenzione. L'uso di una gestualità eccessiva, di espressioni particolarmente colorite o di frasi retoriche è da ridurre al minimo poiché l'arbitro non è di certo un attore, mentre al contrario deve svolgere il proprio ruolo con chiarezza e semplicità.

Pertanto, per il direttore di gara è importante evitare di assumere atteggiamenti autoritari e rigidi, che non solo riducono il consenso ma che vogliono dimostrare che lui è più importante di tutti gli altri contendenti.

Solo frasi semplici e brevi sono espressione di sicurezza e dimostrano l'interesse a far conoscere il proprio pensiero.

Quando la situazione lo richiede l'arbitro deve valutare un giocatore che abbia commesso un'infrazione. In tali casi il direttore di gara dovrà essere sicuro di indirizzare i suoi commenti solo sui comportamenti realmente manifestati, evitando in maniera assoluta di esprimere opinioni sul carattere o sulla personalità.

Il consenso autorevole che il direttore di gara ottiene intorno alle sue decisioni deriva infatti anche dal sanzionare le azioni fallose in modo assolutamente specifico senza peraltro esprimere considerazioni sulla persona del giocatore.

Se l'arbitro esprime un parere specifico sull'azione da sanzionare, attenendosi scrupolosamente a questo ed evitando di manifestare pareri di carattere generale sul giocatore, è molto probabile che quest'ultimo non sviluppi uno stato d'animo negativo verso l'arbitro percependo la precisione del suo intervento e della sanzione e risultando maggiormente disponibile a modificare il suo atteggiamento in campo per evitare di essere ammonito o espulso. Inoltre, non avrà motivo di arrabbiarsi con l'arbitro perché questi l' ha rispettato come persona mentre ha giustamente punito la sua fallosità in quell'azione di gioco.

Sebbene l'arbitro esperto ascolti le lamentele dei giocatori e spieghi loro le proprie decisioni, queste risposte devono essere dirette e brevi e dovrebbero essere fornite in modo calmo e rispettoso.

Non c'è comunque nessuna ragione per mantenere un dialogo prolungato con un giocatore arrabbiato, poiché ognuna delle parti conosce i suoi diritti e doveri. Per l'arbitro è essenziale non rimanere impigliato nella polemica che i calciatori possono voler portare avanti.

Inoltre, eccessive spiegazioni da parte del direttore di gara potrebbero facilmente essere interpretate come un modo di scusarsi per le decisioni che ha assunto e, quindi, come scarsa fiducia nelle proprie scelte.

L'arbitro al contrario deve esprimere attraverso il suo comportamento calma e sicurezza e se proprio vuole avere l'ultima parola che la dica e, immedia-tamente, si allontani dal suo interlocutore, agendo per far riprendere il gioco il più rapidamente possibile.

Bene, per ultimo, tenere presente che l'arbitro non deve andare alla ricerca delle irregolarità (siano esse verbali o non) nel comportamento dei calciatori bensì, in prima istanza, cercare di evitare il loro verificarsi e qualora si manifestino sanzionarle secondo il regolamento al fine di ridurre al minimo il loro ripetersi.

LA PERSONALITA':

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Il punto essenziale che rende l'attività arbitrale non solo una disciplina dagli elevatissimi contenuti atletici, ma anche una "scuola di vita", concerne esattamente la formazione della personalità, intesa nella sua accezione più ampia.
Il complesso delle caratteristiche insite in un individuo che si intendono raggruppare nel termine personalità possono essere così elencate: carattere, temperamento, inclinazione, istinto, individualità. Certo che chiunque si dedichi all'arbitraggio deve rinunciare a qualcosa che appartiene alla sfera personale: chi all'eccessiva impulsività, chi ad un'innata docilità, chi ad una conclamata immaturità e così via. Naturalmente, maschi e femmine manifestano, a questo proposito, delle caratteristiche peculiari; infatti, sin dagli inizi, i giovani arbitri si scontrano, per così dire, con un mondo fatto di severa autodisciplina, di elevate esigenze motorie, ma anche di grande creatività. Chi sceglie di fare l'arbitro deve insomma possedere delle doti specifiche: deve essere intelligente, motivato, onesto, coraggioso, sicuro, attento, "field independent", capace di controllare l'ansia e di gestire un gruppo con una leadership del tutto particolare, quasi carismatica. Insieme a tutto questo è necessario che il giovane arbitro sia armato di un elevato grado di responsabilità, conscio delle aspettative in lui riposte dall'Associazione.

L'arbitro di calcio deve operare nella sua preparazione fin dal primo anno di attività in modo da descriversi come colui che, detentore delle regole del gioco e della loro applicazione, ne vivifica criticamente, giorno dopo giorno, la salvaguardia e lo statuto.

La personalità è, come già accennato, una dote naturale. Quando si osserva un arbitro che senza apparenti sforzi, con naturalezza, ottiene disciplina e rispetto; quando si nota da parte dei giocatori accettazione delle sue decisioni, senza palesi proteste in forza di un notevole ascendente; quando l'arbitro mette in evidenza doti di carattere, fermezza, di temperamento, allora si può affermare che lo stesso è dotato di spiccata personalità.

Una valida personalità è la sola che rende capaci di reagire in modo corretto ed efficace all'ambiente e alla realtà e di provare soddisfazione per il raggiungimento di scopi importanti.

Gli elementi fondamentali di una personalità di successo possono essere così riassunti:
 

  • senso d'orientamento

  • comprensione

  • coraggio

  • apprezzamento per il prossimo

  • stima

  • fiducia in sé stessi (attenzione a non eccedere, però!)

  • capacità di accettarsi per evolversi costantemente

Come già riportato, l'arbitro dovrebbe essere autorevole, non autoritario. Questa differenza è fondamentale per non inasprire il pubblico e per non irritare i giocatori. L'autorevolezza è propria dell'arbitro di classe: essa infatti nasce sulla base di un ascendente (influenza esercitata in virtù di una sorta di autorità morale emanata quasi spontaneamente) personale legato alle qualità e alle capacità effettive di un arbitro. L'autorità invece è qualcosa di forzato e di chi classe non ha: essa difatti si basa soltanto sul ruolo che riveste l'arbitro in quanto tale e sul potere conferitogli dal Regolamento.

L 'arbitro non dovrebbe parlare troppo durante la gara, anche per non indisporre i giocatori incoraggiandoli ad intavolare dialoghi che possono diventare vivaci e degenerare.
Non bisogna mai illudersi di poter agevolmente controllare una gara. Tale convinzione non giova alla sua concentrazione e può dar luogo ad un pericoloso rilassamento.

L'arbitro deve mettere da parte sentimenti di viltà o di paura. Ed allorché parliamo di viltà ci riferiamo alla tentazione di sfuggire alle proprie responsabilità usando sotterfugi di vario genere. Colui che non ha il coraggio di quello che fa e non ne accetta le conseguenze, non ha futuro.
Se dal momento in cui siamo giunti al campo di giuoco e durante gli adempimenti preliminari di rito saremo riusciti a fare subito una buona impressione, potremo scendere sul terreno di giuoco forti di una posizione di vantaggio che ci faciliterà sicuramente il compito durante la gara, ma che comunque sarà necessario confermare soprattutto nei primi attimi di gioco. Infatti, è nelle fasi iniziali della partita che l'arbitro sarà chiamato a dimostrare nella pratica quella fermezza e scrupolosità nell'assolvimento del mandato che aveva fatto intravedere negli spogliatoi, e che peraltro dovrà mettere in atto per tutta la durata della gara. Nei primi dieci - quindici minuti di gioco, i giocatori cercheranno di capire quali comportamenti non regolamentari saremo disposti a tollerare: sarà quindi necessario che l'arbitro si mostri subito inflessibile, sempre presente e vigile, mostrandosi pronto a reprimere sul nascere tutto ciò che può alterare e turbare la generale correttezza che deve regnare durante una partita.

Un arbitro che termina un incontro con il taccuino pieno di ammonizioni e espulsioni, raramente ha offerto una buona prestazione; e quand'anche la sua condotta sia stata nel complesso positiva qualche errore sul piano del mantenimento della disciplina in campo l' ha commesso se non altro per l'inconsueta difficoltà di potare a termine una gara divenuta scorbutica e nervosa.

Molta importanza, dunque, l'arbitro dovrà riservare al richiamo verbale dei giocatori: esso potrà spesso impedire che la foga agonistica dei giocatori trascenda lo spirito della leale competizione sportiva. Ha pertanto un motivo preventivo e dissuasivo che ogni arbitro deve curare con grande attenzione: il calciatore deve "sentire" la nostra presenza sul terreno di giuoco, deve capire che i nostri occhi sono costantemente su di lui, che giammai una sua scorrettezza passerà inosservata.

Qualora poi ciò non dovesse sortire l'effetto atteso, l'arbitro dovrà far ricorso all'ammonizione che deve essere intesa dal calciatore come estremo avvertimento prima di procedere alla sua espulsione: se con i richiami alla correttezza che assumono veste di "consigli" non saremo riusciti ad ottenere un risultato, allora ci vedremo costretti a comminargli una prima formale punizione, l'ultima prima di espellerlo dal recinto di giuoco. L'ammonizione deve essere dunque un "ultimatum" per il calciatore oggetto della sanzione, il quale dovrà ricevere la precisa sensazione che alla prossima infrazione potrebbe terminare la sua gara. Per trasmettere questo "messaggio" è di fondamentale importanza il modo in cui l'arbitro notifica il provvedimento: ammonire i giocatori quando questi sono lontani da lui, oppure esibendo il cartellino senza dire una parola o, peggio, quasi senza guardarli è assolutamente inutile. Un breve ma energico richiamo che serva da severo monito mentre viene esibito il cartellino con l'arbitro che senza titubanza guarda negli occhi il calciatore è la maniera migliore per trasmettere al colpevole l'idea dell'ultimo avviso ed agli altri giocatori che quel tipo di comportamento non è consentito.
La scelta del momento, il tipo di provvedimento e le modalità di esecuzione, testimoniano della sensibilità disciplinare e della fermezza dell'arbitro determinando le valutazioni e il giudizio di tutti gli interessati alla prestazione del direttore di gara: se egli mostrerà temperamento, fermezza, autorevolezza senza forzature - o in una parola ascendenza - unite a prevenzione, intuizione e riflessione costanti - o perspicacia che dir si voglia - indubbiamente ci si trova in presenza di un elemento molto valido. Viceversa se la tolleranza, l'influenzabilità, la compensazione, l'esitazione, il paternalismo e il ricorrente giustificarsi saranno gli elementi più frequenti riscontrati in una prestazione arbitrale si potrà tranquillamente asserire che l'arbitro è di poco affidamento a causa della sua insicurezza e fragilità di cui le suddette caratteristiche sono indici.

PREGI DELLA PERSONALITA':

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  • La disinvoltura

  • La sicurezza e la decisione

  • L' ascendente che riscuote

  • L'indifferenza verso il pubblico

  • La misura e la signorilità nei confronti con gli altri 

DIFETTI DELLA PERSONALITA':

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  •  L'incertezza

  • Atteggiamenti innaturali e/o forzati

  • L'eccesso di loquacità e di gestualità

  • La preoccupazione di rimediare ad un errore

LA CONCENTRAZIONE:

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 L'obbligo di effettuare scelte sotto lo stimolo del momento è un grande ostacolo in moltissime attività; tuttavia, ve ne sono alcune (tra le quali, l'arbitraggio) in cui devono essere prese decisioni immediate, anche se sarebbe preferibile poter attendere, e in cui l'indecisione è uno sbaglio peggiore di una decisione errata. In tali momenti si è come un nuotatore che non vede più la terraferma: se si rimane indefinitamente nello stesso punto a ragionare sulla direzione in cui andare, prima o poi affogherà, ma se ci si mette a nuotare, non importa in quale senso, esistono almeno delle possibilità di salvezza (posto che si sappia nuotare!).
Il direttore di gara ha il dovere (che tra l'altro è un compito difficilissimo) di controllare tutte le situazioni, anche le più impensate. Nulla è ripetibile e le decisioni devono essere adottate a grande velocità e spesso in condizioni di stress fisico o quanto meno con l'handicap dell'affanno della corsa che affievolisce la lucidità soprattutto nelle fasi terminali della gara.

Per ridurre notevolmente il tasso di errore dell'arbitro sarebbe necessario che passasse qualche secondo tra il fischio che interrompe il giuoco e la esternazione della decisione o l'  esplicitazione del provvedimento affinché il cervello possa elaborare compiutamente i dati ricevuti dall'esterno: ciò chiaramente non è possibile perché l'arbitro quando fischia ha già deciso, anzi fischia proprio perché ha deciso.

Per migliorare quindi la propria capacità decisionale è opportuno che l'arbitro ponga molta cura ad un fenomeno che può sicuramente aiutarlo nel perfezionare le sue direzioni di gara, riducendo i tempi di elaborazione delle decisioni e consentendogli così di fare appieno il suo dovere: la concentrazione.

Proprio essa, infatti, consente la presenza lucida che, costituendo un elemento indispensabile per disciplinare le situazioni e valutare le condotte, deve essere presente in termini di continuità e di costanza.

Condizione ideale da cui discende il massimo rendimento del pensiero e, di conseguenza, dell'azione, la concentrazione è un particolare modo di essere che viene riconosciuto come un pre-requisito essenziale per la prestazione ottimale.

Costituendo il modo rilassato di essere sempre pronti è il fattore che predispone, disciplina, orienta l'attenzione al rilevamento e all'organizzazione del contenuto sia del mondo interno sia del mondo esterno, implicando un alto grado di fissazione su uno stimolo, su un compito da eseguire o sulle successive azioni da compiere.

La concentrazione risente dei fattori fisiologici: affaticamento, stato di saturazione, efficienza funzionale del sistema nervoso centrale; come pure dipende da fattori psichici quali interesse, opinione, tradizioni, circostanze situazionali.

Esiste poi un rapporto stretto direttamente proporzionale tra concentrazione e motivazione.

L'arbitro dotato del più profondo grado di concentrazione è colui il quale riesce a trovare un'armonia tra i vari elementi fisici, emozionali e a focalizzarli su quello che deve fare.

Come arbitri, occorre mantenere la piena consapevolezza di tutte le informazioni sullo svolgimento della gara che cambiano in continuazione, facendo sempre in modo che il fattore o i fattori più rilevanti, arrivino ad essere inquadrati nel momento giusto a spese di tutti gli altri. Solo allora si può reagire subito e con la massima efficacia, raggiungendo così il proprio obiettivo: applicare il regolamento in modo corretto.

Molti fattori di distrazione sono centrati su considerazioni di carattere emozionale: la paura delle reazioni del pubblico, la paura di qualche incidente, la paura di sbagliare, la paura dell'insuccesso. Il primo passo verso il cambiamento sta nello scoprire dove si dirige la vostra attenzione quando essa si lascia trasportare via.

Spesso la prestazione non è adeguata perché ci concentriamo su aspetti non pertinenti che non possiamo controllare oppure perché il tono stesso della gara, ad esempio apatico e privo di interesse, induce a più o meno lunghe deconcentrazioni.

Durante la gara è possibile tenere lontano i fattori di distrazione usando la respirazione profonda più la formula di proponimento: se un arbitro si sente senza concentrazione, può respirare profondamente e dirsi mentalmente molte volte "mi concentro sul pallone o sul gioco"; se sente ansia o paura si può dire "sono perfettamente calmo e sereno"; se è il pubblico a distrarlo: "la folla mi è del tutto indifferente".

Se, per esempio, avete immagini non pertinenti, è opportuno riprendere la padronanza della situazione seguendo il pallone: questo è un modo per agganciare la concentrazione ad un oggetto reale

 

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Fonte Sezione AIA MESSINA